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Valeria

La malattia di Huntington è sempre stata presente nella mia famiglia. Mio padre non c'è più da 5 anni. Non ha mai avuto sintomi, perlomeno che io potessi vedere.

Valeria, 27 anni - Castellana Grotte (BA)

La malattia di Huntington è sempre stata presente nella mia famiglia.

Mia nonna è venuta a mancare pochi mesi dopo la mia nascita, quindi di lei non ho memoria.  Però ricordo il primo zio che si è ammalato. Me lo ricordo sempre malato, ma non sapevo cosa avesse. Quando sono diventata più grande, mi hanno detto di cosa si trattava, ma la vedevo come una cosa lontana, che non mi riguardava.

Mio padre è morto da 5 anni. Lui è sempre stato bene, non ha mai avuto sintomi, perlomeno che io potessi vedere. Dal 2011 ha iniziato a stare male, è entrato in depressione; in realtà non so se a causa della malattia, perché c'erano anche situazioni lavorative che l'hanno buttato giù. Da allora, siamo entrati in una specie di tunnel.

In quel periodo io avevo 18 anni e sono venuta a sapere che lui aveva sempre avuto il dubbio di avere potuto ereditare malattia, anche se non ne aveva mai fatto parola, se non con mia madre. Quando abbiamo affrontato l’argomento, ho suggerito a mio padre di fare il test, per smettere di vivere nel dubbio.


Spinti dalla voglia di indagare e cercare di aiutarlo, ci siamo rivolti a un centro a Bari. Dopo un po' d'incontri, ha deciso di fare il test ed è risultato positivo. In quel momento, non ho pensato che la cosa potesse riguardare anche me. 

Fatto sta che 5 anni fa papà si è suicidato.
Non so se questa azione sia riconducibile alla malattia o ad altro, non ha lasciato nessun messaggio, è una cosa che non potrò mai sapere. Da un lato mi farebbe star meglio pensare che sia colpa della malattia. Chiunque può pensare quello che vuole, ma nessuno ha il diritto di dare una spiegazione: io stessa non riesco a dire se è stato per quello o un insieme di altri motivi. Non mi va di associare la morte di mio padre alla malattia, così come non mi va di associarla ad altre cose. Non lo giudico per la sua scelta. E’ stato una persona sempre molto attiva, solare, sorridente, un ciclone. Il suo  cambiamento era evidente a tutti. 

Dopo la morte di mio padre, ho iniziato a farmi qualche domanda in più, ho iniziato a cercare informazioni su internet, mi sono avvicinata alla LIRH.

Io vedo la mia famiglia così unita e non mi spiego questa difficoltà a parlare della malattia. Purtroppo è sempre un argomento molto delicato, quindi non è giusto neanche forzare perché è una cosa estremamente personale.

Negli ultimi anni con mia madre sono riuscita ad aprirmi un po' di più.  In lei ho trovato sicuramente tanta paura, ma penso che dipenda da un senso di protezione verso di me. Si è aperta un po' di più la comunicazione tra noi da quando io ho iniziato ad avvicinarmi all'associazione ed è capitato più volte di partecipare agli incontri.

Noi siamo tanti e siamo una famiglia molto unita, ci vediamo sempre, ci piace stare insieme, anche al di fuori delle feste o delle ricorrenze. Sappiamo di poter contare l'uno sull'altro.  La malattia però fa scendere il gelo tra di noi: dopo la morte di mio zio, si è ammalata un’altra zia, ed è peggiorata molto velocemente, per cui con gli altri zii c'è stata una sorta di chiusura nella comunicazione.

Io mi rendo conto che ho avuto più difficoltà a parlare di questa cosa con le mie migliori amiche, che sono amiche di famiglia e conoscono i miei e conoscono anche i miei zii. Paradossalmente sono riuscita ad aprirmi più con i miei amici che ho conosciuto all'Università con cui mi sono legata molto, perché magari erano un po' più "esterni". Secondo me è proprio un discorso di cultura, di conoscenza della malattia. Adesso invece sento di più la necessità di aprirmi anche le mie amiche, perché le considero quasi come delle sorelle e sento il bisogno di condividere anche con loro.

Non mi sento comunque sola, perché ho il mio ragazzo con cui riesco tranquillamente a parlare di tutto. Stiamo insieme da 12 anni e lui ha vissuto con me tutto. Lui mi sostiene in questo percorso, ne abbiamo spesso parlato, c'è un'apertura totale, è venuto con me agli incontri con la LIRH.
Creare una famiglia insieme è un desiderio. Quando penso a questo, però, penso inevitabilmente anche all’Huntington. Questo discorso andrà affrontato quando sarà il tempo, non so come la prenderemo.

Fondamentalmente adesso il mio rapporto con la malattia è questo: non ho ancora preso una decisione se fare il test o meno, ma voglio capire di più.

Mi sono laureata in chimica farmaceutica e, un po' anche per il mio percorso di studi,  penso che forse sarebbe meglio sapere. Anche se adesso non si può far nulla, sto seguendo con piacere i vari step della ricerca. A volte penso che forse siamo nel periodo giusto per avere una svolta. Io sto partecipando con la LIRH al programma di ricerca Enroll-HD.

Prima di decidere se fare o meno il test, ho bisogno di raggiungere una maggiore serenità, magari attraverso un percorso psicologico.

Sono contenta di aver intrapreso questo percorso perché preferisco capire, non lasciare che le cose vadano per conto loro. Sapere di potermi confrontare mi fa sentire più serena.

 

 

Testimonianza raccolta nell'ambito del progetto logo that disorder

 

foto Valeria G.